Vogliamo oggi farci interrogare dalla Parola. Essa provoca la realtà, senza mistificarla e senza fare buonismo. Essa si muove nei limiti delle relazioni che noi stessi viviamo, illuminandole e guarendole, mediante l’evento di Cristo che ci raggiunge. Il Vangelo ci provoca a perdonare “non sette volte ma settanta volte sette”. Il richiamo, per chi ha familiarità con la Parola di Dio, è il cantico di Lamech. Nel libro della Genesi, infatti, quando la violenza fratricida di Caino si scatena, il male diventa una forza senza controllo che solo la legge del taglione sembra poter limitare. Difronte a ciò Lamech risponde in maniera ancora diversa: “Se ricevo una ferita ti uccido, quattro volte sarò vendicato!”. Questo grido esprime l’esplosione della vendetta. La domanda ci interpella: “quante volte dovrò perdonare?”
Sembra che per il pio israelita, perdonare tre volte fosse un’opera meritoria; perdonare quattro volte rappresentava un’opera super meritoria. Il discepolo di Gesù sembra chiamato dunque a perdonare sette volte… Ma Gesù ci fa uscire da questa logica! Non contano più logiche meritorie o super meritorie, non conta più il calcolo. C’è una logica diversa: la logica della novità del Regno. Non la logica del merito ma la logica dell’incontro del Regno! La parabola di oggi ci illumina su questo.
La parabola è costruita su tre scene.
La prima scene è inverosimile: un tale era debitore di 10000 talenti cioè 10000 anni di lavoro! Esagerato, non basta una vita per sanare questo debito! Nulla può saldarlo. É inverosimile e questo perché, questo racconto, parla della relazione tra Dio e l’uomo. Questo linguaggio allusivo ci vuole far capire in che orizzonte siamo. Inoltre, vediamo come la preghiera del servo sia una preghiera molto povera, sembra dire: “abbi pazienza un momento, e sistemo tutto!”. Che povera la sua preghiera! È la nostra preghiera! Eppure il cuore del padrone viene toccato: la makrothumia (μακροθυμία) del padrone che condona tutto. Allude alla relazione di Dio con noi e noi con Dio.
La seconda scena entra nel reale, quello che noi chiamiamo il reale delle nostre relazioni storiche. Questa volta in posizione di rilievo troviamo non un re o un padrone, ma il servo. E il servo si relazione con un suo servo, cioè un suo simile. Il debito è 100 denari: 100 giornate di lavoro. Un buon debito ma con un po’ di impegno facilmente assolvibile. Mentre nella prima scena il debito era inverosimile, ora è estinguibile. Notate che il servo della seconda scena prega con la stessa preghiera usata nella prima scena. Il servo prega il servo suo simile: “abbi pazienza con me!”, ma questa volta non trova accoglienza, non ottiene compassione. Alla fine la parabola diventa la denuncia del discepolo che riceve perdono ma non sa farlo; riceve misericordia ma non sa fare misericordia; è graziato e non sa rendere grazie! Ecco la denuncia di Gesù; ecco la novità del Regno. Una legge che va oltre la legge, la novità dell’esperienza di Dio che diventa novità nei rapporti, in cui il perdono, cioè il dono di sé, diventa centro della relazione. Questo nella nostra vita fraterna è importante.
Chiudo ora con la prima lettura che ci richiama il cantico di Daniele, che è stato oggetto della lectio fatta nell’ultima assemblea provinciale e che è stata una lectio penitenziale. “Non abbiamo più né principe, né profeta, né luogo per presentarti olocausto, incenso e primizie per trovare misericordia”. Sembra di sentir risuonare le domande di ieri riguardo il disagio che siamo chiamati ad abitare. Dinnanzi ad esso la tentazione è voler trovare immediatamente una soluzione. Ma in questo disagio il profeta ci dice: “ora ti seguiamo con tutto il cuore! Ora ti temiamo e cerchiamo il tuo volto!” Ieri il padre Generale ci invitava a riflettere su cosa volesse dire cercare, anelare, al volto di Dio. Siamo chiamati infatti a seguirlo oggi in questa realtà in cui alcuni riferimenti sono venuti meno. Forse anche noi non siamo stati fedeli; forse stiamo abbandonando la via della fedeltà. Vogliamo dunque oggi innanzi tutto riacquistare quella!
Che il Signore ci aiuti in questa avventura personale e comunitaria ad essere discepoli. Discepoli segnati da ferite e limiti della storia, segnati da ferite e limiti personali, ma nonostante tutto in cammino fiduciosi della fedeltà di Dio.