Omelia del padre Provinciale Giuseppe Adobati, per la celebrazione di chiusura del III Capitolo Provinciale MAPRAES

Viviamo questo momento come un’occasione per completare sopratutto l’ascolto che abbiamo fatto in questi giorni, soprattutto alla luce della Parola di Dio. Mi unisco al ringraziamento per ciò che abbiamo ascoltato. Ci vuole sempre più tempo di quello che abbiamo per saper approfondire. Questo vale per l’esercizio della fraternità, che nasce dall’ascolto in chiave sinodale. Ma vale anche per l’ascolto della Parola di Dio, che richiede, appunto, sempre tempo in più, benchè essa possa sembrare la stessa.

Desidero finire questo momento senza smettere di ascoltare.

Ringraziamo di tutto ciò che abbiamo detto e di tutto ciò che abbiamo ascoltato. Ringraziamo per le parole che abbiamo espresso e per l’attenzione alle varie realtà che sono emerse nel Capitolo.

Vorrei consegnarvi, ora, qualche spunto della Parola di Dio che ci è data in questo periodo di Quaresima. Mi è parso di cogliere che la Parola di Dio, di quest’oggi, ci parla della preghiera.

Sia il testo di Osea, sia la parabola di Gesù hanno a che fare con la preghiera e mettono in evidenza come la preghiera sia non solo opera nostra, ma anche accoglienza e partecipazione di Dio.

Sia in Osea che nella parabola notiamo il punto di vista di Dio. Come Dio guarda coloro che, come dice il profeta Osea, dicono: “venite torniamo al Signore, pentiamoci!”. Notiamo questo desiderio di tornare, questa consapevolezza dei nostri peccati. E Dio si chiede: “cosa dovrò fare per te Efraim? Che dovrò fare per te Giuda? Il vostro amore è come una nube del mattino!”. Citazione questa che fa pensare a ciò che sta succedendo in  questi giorni, nei quali ci sono molte nuvole, anche pittoresche, ma non c’è acqua. Questo è il dramma che la terra di Israele vive da secoli. Allora queste belle nuvole sembrano promettere chissà che cosa, ma in verità non c’è nulla.

Ecco allora la preghiera del popolo che cerca di intercettare Dio, e Dio che guarda questa preghiera. E ascolta! Dio vuole amore e conoscenza, non sacrificio e olocausti. Questo si collega al testo del Vangelo dove, in fondo abbiamo, due uomini che vanno a pregare. E vanno a pregare nella consapevolezza che la preghiera è importante. Tuttavia, anche qui troviamo, da una parte, colui che ha la presunzione di essere giusto, di essere dalla parte di Dio. E dall’altra chi, invece, forse ha la presunzione di essere completamente lontano. Ecco che dunque ritorna questo movimento dell’uomo che invoca Dio cercando la sua misericordia, cercando delle “strategie” per pregare. Al tempo di Osea, queste strategie, potevano essere chissà quali sacrifici, chissà quali rituali; per il fariseo, invece, era il presentare la sua coerenza e la sua  osservanza; per il pubblicano è la consapevolezza che è un disgraziato, una persona chiusa nel suo male e nella sua incapacità di fare il bene. E allora il punto è che tutte queste preghiere sembrano senza un finale; sembrano chiuse in se stesse. Il buono rimane buono e il cattivo rimane cattivo: ma la differenza la fa Dio! La differenza è fatta da come Dio guarda e da come Dio vede. Gesù mette in evidenza che i giustificati non sono quelli che hanno pregato bene o hanno pregato meglio, ma tutto dipende da un diverso sguardo di Dio.

Tutto questo mi suscita un esempio. Mi fa venire in mente che ho vissuto qui per 6 anni (ai santi Giovanni e Paolo). Il primo giorno di questa settimana guardando dalla finestra mi sono accorto, per la prima volta, che si vede il palazzo della cultura italiana, il monumento che c’è all’EUR. Mi ha stupito che da qui si possa vedere, perché da qui, per andar li, ci vogliono almeno venti minuti di automobile. Ebbene questo mi fa capire che la nostra casa qui a Roma gode di uno sguardo elevato su Roma, e mi ha fatto pensare a come questo guardo sia diverso rispetto a uno sguardo dal basso. Questo mi fa pensare a come Dio vede la nostra realtà, la nostra vita. Tornando dunque a Osea e a questo popolo che fa tribolare Dio, credo che il cuore della passione di Dio, non sia solo quello di avere dei bravi sudditi, o dei bravi fedeli, o dei bravi osservanti; ma sia quello di entrare dentro l’uomo, saper convertire, cambiare il cuore. Dio sa entrare in un territorio che non è il suo; sa seminare dove non cresce nulla! E questa è la scommessa del convertire. Non dire semplicemente ci sono i meritevoli e i non meritevoli, ma sempre andare a scommettere che si può cambiare: la conversione, il cambiamento, che poi è la provocazione del tempo di Quaresima.

Questo mi fa anche pensare a Paolo della Croce. Da giovane egli sentì l’impulso a mettersi al servizio di Dio e sappiamo che a un  certo punto egli pensò di diventare martire al servizio della Chiesa. Pensava di fare ciò attraverso l’esempio dei crociati, benedetti dal Papa. Era questo un modo per cercare di strappare la Terra Santa a coloro che erano considerati degli infedeli. Si diceva: “noi siamo quelli che portano la reliquia, il segno della grazia di Dio, e gli altri non lo sanno, anzi la contaminano”. Quindi la crociata serviva a riconquistare quella Terra perché fosse valorizzata come doveva esserlo. Questo era il modo di pensare che Paolo della Croce ha respirato al suo tempo, ma che poi ha capito non essere il suo. Questo lo ha portato a capire che chiaramente c’è un problema di contaminazione, di mancanza di capacità di fare il bene, c’è un problema di male. Ma questo non lo si risolve dividendo, o cacciando i cattivi o gli infedeli. Lo si risolve in maniera diversa.

Ed ecco quindi la passione di Gesù intesa come rimedio al male del mondo, a tutto ciò che è disgrazia nella storia dell’umanità, a tutto ciò che genera peccato e porta alla morte! Allora questa passione di Dio, questo sguardo di Dio, questo desiderio di Dio che invoca l’amore come nel profeta Osea, o come Gesù che invoca la preghiera quale atteggiamento dell’uomo dinanzi a Dio, mi porta pensare al desiderio di Paolo della Croce, al desiderio di fare memoria dell’amore di Gesù, dell’amore del Figlio che va a erodere nei cattivi la dimensione del male.

E questo penso sia il motivo per cui siamo qui.

Abbiamo anche dibattuto per questo in questi giorni. Perchè li dove siamo noi, dovremmo lavorare per questo: testimoniare l’amore del Signore, trasmettere un bene che è di Dio, che cerca di trasformare e convertire il male che c’è. Quindi chiedo al Signore che attraverso il nostro carisma, San Paolo della Croce ci riempia di questo suo sguardo, di questa sua passione, di questo suo desiderio che noi, la dove siamo, possiamo continuare ad essere servitori di questa scommessa: cambiare, convertire il cuore dell’uomo, renderlo capace di una relazione d’amore che non è solo essere buoni o offrire a Dio qualcosa, ma diventare strumento, servitori di questa grazia. La colpa del fariseo non è solo quella di disprezzare gli altri, ma è quella di escluderli. Egli dice: “siccome io sono buono e gli altri cattivi, non c’è legame tra me e loro”. Il sintomo che siamo secondo il cuore di Dio è invece il rovescio. Cioè  Dio ci insegna a essere si buoni e osservanti, ma anche a testimoniare questo amore per gli altri. Non per diventare esclusivi, per diventare una elite. Il Signore ci aiuti ad avere questo sguardo che è diverso. Questo sguardo che ha gli stessi ingredienti ma in una percezione diversa, aperta ad un mistero più grande. Che san Paolo della Croce ci doni questo! Tornando a casa, vivendo questo clima di fraternità, il Signore ci doni di custodire questo entusiasmo e poterlo trasmettere, con la testimonianza, ai nostri fratelli e sorelle, e a tutti coloro a cui offriamo il nostro servizio e ministero.  

Omelia della celebrazione eucaristica del quinto giorno di padre Salvatore Frascina

Possiamo dire che questo giorno è iniziato con un grande dono da parte del Signore, il dono della sua Parola, della fraternità, il dono della chiamata. Il dono di confermare ancora una volta che siamo qui e vogliamo essere suoi. Allora sprofondiamoci in questa Parola, in questo mare che oggi ci è stato donato attraverso i salmi delle lodi, attraverso le letture della Messa, per accedere sempre più in profondità fino al cuore di questa liturgia, che poi continuerà con questa giornata. E allora ecco, il Signore ci mette dinnanzi una Parola bellissima, dura allo stesso tempo. Se abbiamo fatto caso, la prima lettura è l’ultima parte del libro del profeta Osea. Un libro in cui si parla di un Israele che è stato peccatore, però nonostante tutto, il Signore gli ha detto di ritornare a Lui, perché Lui avrebbe pensato a tutto. Quindi vogliamo anche noi fare questo grande passaggio ogni giorno, ogni momento: “Signore non sono io che agisco, sei tu che agisci!”. Il Signore che purifica, che ci accoglie, che ci abbraccia, il Signore che ci accarezza, che ci bacia, il Signore che ci mette l’anello al dito. Tante volte noi ci perdiamo dietro a tantissime cose; tante volte ci perdiamo dietro noi stessi, nel nostro egoismo. Ci domandiamo cosa voglio io, anziché cosa vuole Dio. E ci viene in aiuto il Vangelo. Come possiamo fare questo? Come possiamo essere continuamente con questa mente allenata a lasciarci plasmare dal Signore?

Come facciamo a lasciarci plasmare da Lui, a stare nelle sue braccia. Come possiamo fare? Ci viene in aiuto il Vangelo. Gesù ci dice con una sola parola, la parola più bella, la parola più grande come bisogna fare: Ama Dio!

Qual’è il comandamento più grande? Ama Dio. Ma io l’amore per Dio lo prendo dall’amore per il prossimo e dall’amore per me stesso. Non l’amore narcisistico. Io posso amare l’altro nella misura in cui mi amo. Posso dare all’altro nella misura in cui do a me stesso! Quindi il Signore mi chiama ad amarmi prima di tutto e a chiedermi: cosa voglio io per me? E quello che io voglio per me, devo volerlo anche per l’altro e anche di più, perché lo stesso Gesù al termine del Vangelo di Giovanni arriverà a dirci: “amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. Come ci ha amato?

Ieri sera nella simbologia dell’adorazione eucaristica abbiamo utilizzato il pane, il grembiule e l’anfora. Allora se io mi amo, se io mi voglio bene, devo curarmi di me stesso. Devo anche riuscire a lavarmi i piedi, devo chinarmi per riuscire a lavarmi i piedi. Allora Gesù mi dice: “fallo anche con il tuo fratello!” Devo chinarmi a lavare i piedi a mio fratello. Se tutti facessimo questo, se tutti riuscissimo ad arrivare a fare questo, a livello spirituale intendo, già saremmo un passo avanti. Lavarmi i piedi vuol dire farmi pane, darmi da mangiare agli altri. E questo è ciò che ha fatto il Signore, è ciò che chiede a noi. Non siamo solo persone, siamo anche suoi sacerdoti. Siamo chiamati ad essere un altro Cristo, a mostrare il suo volto, il suo amore, ad essere suoi testimoni in maniera particolare, in maniera speciale. Quindi ecco cari fratelli continuamo a chiedere il dono dello Spirito Santo perché possiamo pensare: “cosa voglio io per me? Cosa voglio io per gli altri? A mettere da parte ogni orgoglio. A fare questo passaggio di buttarci nelle mani di Dio. Penserà Lui a tutto. Non ci mancherà nulla.

Omelia della celebrazione eucaristica del quarto giorno di Capitolo di padre André Pereira

“Oggi, se ascoltate la voce del Signore, non indurite il vostro cuore”.

In questo giorno siamo invitati a riflettere come ascoltiamo la voce del Signore. Quale impatto ha la voce del Signore sulla mia vita? Come ci trasforma e come nutre il mio cuore?

Il mio cuore è ancora come il cuore di cui ci parla il profeta Geremia? Un cuore testardo, un cuore che non si apre agli altri?

Con la Parola del Signore il nostro cuore si apre a tutti gli uomini, perché si nutre della Parola divina.

Se ci nutriamo della Parola del Signore, anche se il nostro cuore ha una sola piccolissima porta aperta, la grazia del Signore può sempre entrare. C’è sempre spazio per questa Parola in modo che possiamo veramente gioire nel Signore.

E quando possiamo gioire nel Signore? Quando facciamo del bene! Come ha detto Gesù nel Vangelo, in questo confronto con l’uomo posseduto dal demonio.

Un uomo muto che non parlava. Ma dopo che Gesù si è avvicinato a lui, dopo averlo salvato da questo male, l’uomo ha ricominciato a parlare.

E, naturalmente, questo comportamento di Gesù è stato additato, è stato condannato, perché è stato frainteso. Ora facciamoci una domanda: quante volte veniamo fraintesi?

Certamente tante volte e, in questi momenti, cerchiamo di accostarci alla Croce del Signore e, attraverso il bene, costruiamo l’unità di cui ci parla il Vangelo, l’unità del Regno.

Siamo qui al Capitolo provinciale per creare unità!

Continueremo a chiedere al Signore la forza dello Spirito Santo, perché si crei davvero unità e non dispersione. Non allontaniamoci soprattutto tra noi fratelli e amici, seguiamo insieme Gesù Cristo crocifisso.

Omelia della celebrazione eucaristica del terzo giorno di Capitolo di padre Adolfo Lippi

Comincio quest’oggi innanzi tutto col ricordare e ringraziare il Signore e i fratelli per la tanta vita che ho vissuto in questo luogo. Venni qui per la prima volta, pensate nel 1959, e nel capitolo generale straordinario di cui siamo rimasti testimoni solamente io e Confratel Sergio (Maino), qui presente. Per ciò che mi è stato dato in tutti questi anni vorrei ringraziare il Signore!

Passando alla liturgia di oggi, un primo pensiero vorrei farlo sull’esperienza, che da anni conduco, di dialogo con l’ebraismo. Gesù infatti sembra dirci: “non crediate che io sia venuto a formare una nuova religione! A sostituire una religione particolare con una universale”.  Gesù è contro questa mentalità, possiamo dire, illuminista e ideologica. Noi siamo radicati in Israele. E Israele vive una passione che parte da Adamo e arriva ad Auschwitz ed è importante tenere d’occhio ciò che accade nei nostri tempi. Gesù stesso ci dice: “Sapete comprendere i tempi in cui vivete?”. Ma per approfondire questo tema, vi rimando a un libro presentato poco tempo fa: Teologia di Israele. Teologia dei popoli.

Un secondo pensiero col quale vorrei proseguire riguarda, invece, la giustizia di Dio, di cui parla la prima lettura. Dio, il nostro Dio, è un Dio della Giustizia e della verità. Mi viene in mente la testimonianza di Benedetto XVI, il quale diceva che senza giustizia e senza verità cadiamo nel relativismo, in un certo buonismo. Attraverso di esso, nella lotta per la vita, ci teniamo a galla e scartiamo ciò che reputiamo inutile. Ma lo stesso Papa Francesco ci ricorda che la cultura dello scarto va combattuta. Ricordate le parole di Gesù: “Ciò che fate al fratello lo fate a Me!” Dunque Dio è un Dio della giustizia e della verità; perché un Dio senza giustizia e senza verità non è il Dio di Abramo, di Giacobbe, di Gesù, di Maria, degli apostoli, dei santi e di San Paolo della Croce, ma è un idolo! Anche il Papa ci mette in guardia dicendo che si può essere vescovi, monaci e monache e adorare un idolo! Che cosa terribile! Io, che potrei presentarmi dinnanzi al tribunale di Dio da un giorno all’altro, tremo a questo pensiero; al rischio di essere stato idolatra nel corso della mia vita, idolatra di me stesso prima di tutto. Quindi dinanzi a questa realtà, quella della deriva del Dio della giustizia e della verità con il rischio del relativismo e del modernismo, bisogna ribadire la necessità di essere testimoni. Oltre a qualche atto penitenziale urge mettersi in atteggiamento penitenziale, in atteggiamento di ascolto per una illuminazione. Perché di solito si è ciechi, come erano ciechi quelli che dicevano: “noi abbiamo Abramo, abbiamo Isacco, abbiamo Mosè”, e non riconoscevano Gesù Cristo. E noi abbiamo Gesù Cristo? Lo riconosciamo? Come facciamo a riconoscere Dio? Ci vuole un cuore aperto, perché senza un cuore giusto e aperto si sbaglia la strada a Dio. Senza un cuore aperto, Dio non è con te, anche se stai tutto il giorno in Chiesa. Come i sacerdoti che passavano tutto il giorno nel Tempio e non riconobbero il Cristo. O come il re Davide che pensava di occultare il suo peccato con Betsabea e si sente dire: “Tu sei quell’uomo!” La grandezza di Davide sta nell’essersi pentito! Non tanto nel non commettere peccati, ma nel pentirsi, essere capaci di chiedere scusa con cuore aperto. Noi passionisti dovremmo essere maestri in questo. Dovremmo vigilare affinché la croce non sia svuotata, ma sia mantenuta nella sua realtà! Maestri nel chiedere luce nel male, nel non rimanere accecati.

L’accecamento (cui parla San Paolo) non è solo di quelli che non hanno conosciuto Cristo, ma può riguardare ognuno di noi. Contro queste cecità è indispensabile un atteggiamento penitenziale ordinario, come anche testimonianza per le generazioni future. Tutto questo con fiducia perché sopra di noi c’è la misericordia del Signore. Concludo dunque invocando la misericordia di Dio su tutti noi con questa eucaristia, per la guarigione e la liberazione da ogni male e da ogni potere del Maligno.

Omelia della celebrazione eucaristica del P. Luigi Vaninetti

Vogliamo oggi farci interrogare dalla Parola. Essa provoca la realtà, senza mistificarla e senza fare buonismo. Essa si muove nei limiti delle relazioni che noi stessi viviamo, illuminandole e guarendole, mediante l’evento di Cristo che ci raggiunge. Il Vangelo ci provoca a perdonare “non sette volte ma settanta volte sette”. Il richiamo, per chi ha familiarità con la Parola di Dio, è il cantico di Lamech. Nel libro della Genesi, infatti, quando la violenza fratricida di Caino si scatena, il male diventa una forza senza controllo che solo la legge del taglione sembra poter limitare. Difronte a ciò Lamech risponde in maniera ancora diversa: “Se ricevo una ferita ti uccido, quattro volte sarò vendicato!”. Questo grido esprime l’esplosione della vendetta. La domanda ci interpella: “quante volte dovrò perdonare?”

Sembra che per il pio israelita, perdonare tre volte fosse un’opera meritoria; perdonare quattro volte rappresentava un’opera super meritoria. Il discepolo di Gesù sembra chiamato dunque a perdonare sette volte… Ma Gesù ci fa uscire da questa logica! Non contano più logiche meritorie o super meritorie, non conta più il calcolo. C’è una logica diversa: la logica della novità del Regno. Non la logica del merito ma la logica dell’incontro del Regno! La parabola di oggi ci illumina su questo.

La parabola è costruita su tre scene.

La prima scene è inverosimile: un tale era debitore di 10000 talenti cioè 10000 anni di lavoro! Esagerato, non basta una vita per sanare questo debito! Nulla può saldarlo. É inverosimile e questo perché, questo racconto, parla della relazione tra Dio e l’uomo. Questo linguaggio allusivo ci vuole far capire in che orizzonte siamo. Inoltre, vediamo come la preghiera del servo sia una preghiera molto povera, sembra dire: “abbi pazienza un momento, e sistemo tutto!”. Che povera la sua preghiera! È la nostra preghiera! Eppure il cuore del padrone viene toccato: la makrothumia  (μακροθυμία) del padrone che condona tutto. Allude alla relazione di Dio con noi e noi con Dio.

La seconda scena entra nel reale, quello che noi chiamiamo il reale delle nostre relazioni storiche. Questa volta in posizione di rilievo troviamo non un re o un padrone, ma il servo. E il servo si relazione con un suo servo, cioè un suo simile. Il debito è 100 denari: 100 giornate di lavoro. Un buon debito ma con un po’ di impegno facilmente assolvibile. Mentre nella prima scena il debito era inverosimile, ora è estinguibile. Notate che il servo della seconda scena prega con la stessa preghiera usata nella prima scena. Il servo prega il servo suo simile: “abbi pazienza con me!”, ma questa volta non trova accoglienza, non ottiene compassione. Alla fine la parabola diventa la denuncia del discepolo che riceve perdono ma non sa farlo; riceve misericordia ma non sa fare misericordia; è graziato e non sa rendere grazie! Ecco la denuncia di Gesù; ecco la novità del Regno. Una legge che va oltre la legge, la novità dell’esperienza di Dio che diventa novità nei rapporti, in cui il perdono, cioè il dono di sé, diventa centro della relazione. Questo nella nostra vita fraterna è importante.

Chiudo ora con la prima lettura che ci richiama il cantico di Daniele, che è stato oggetto della lectio fatta nell’ultima assemblea provinciale e che è stata una lectio penitenziale. “Non abbiamo più né principe, né profeta, né luogo per presentarti olocausto, incenso e primizie per trovare misericordia”. Sembra di sentir risuonare le domande di ieri riguardo il disagio che siamo chiamati ad abitare. Dinnanzi ad esso la tentazione è voler trovare immediatamente una soluzione. Ma in questo disagio il profeta ci dice: “ora ti seguiamo con tutto il cuore! Ora ti temiamo e cerchiamo il tuo volto!” Ieri il padre Generale ci invitava a riflettere su cosa volesse dire cercare, anelare, al volto di Dio. Siamo chiamati infatti a seguirlo oggi in questa realtà in cui alcuni riferimenti sono venuti meno. Forse anche noi non siamo stati fedeli; forse stiamo abbandonando la via della fedeltà. Vogliamo dunque oggi innanzi tutto riacquistare quella!

Che il Signore ci aiuti in questa avventura personale e comunitaria ad essere discepoli. Discepoli segnati da ferite e limiti della storia, segnati da ferite e limiti personali, ma nonostante tutto in cammino fiduciosi della fedeltà di Dio.

Omelia della celebrazione di inizio capitolo di Padre Generale Joachim Rego

Ci troviamo insieme questa settimana, e questa mattina, come i discepoli di Gesù, insieme a Gesù. Non siamo qui come manager o come operai di una ditta, ma come fratelli in comunità, come discepoli di Gesù. Siamo qui per celebrare quello che nella nostra Congregazione chiamiamo capitolo, per valutare ed esaminare in che modo stiamo seguendo Cristo in questo tempo, come passionisti.

Oggi all’inizio di questo capitolo vogliamo prima di tutto verificare dentro di noi come stiamo.

Come siete arrivati qui oggi? In che condizioni? Cosa sta avvenendo dentro di voi?

Abbiamo iniziato questa celebrazione, questa mattina, cantando e invocando lo Spirito Santo. Abbiamo ripetuto numerose volte: vieni, vieni Spirito Santo! Lo intendevamo dire davvero? Mentre cantavamo, mentre dicevamo quelle parole, il nostro cuore si stava davvero aprendo per permettere allo Spirito di entrare? Oppure questa celebrazione, questa preghiera è solamente un servizio, un rito vuoto delle labbra? Cosa sta avvenendo dentro di voi?

Vi state aprendo o ci sono dei blocchi? Ci sono dei conflitti dentro di voi? Ci sono delle paure che stanno bloccando la venuta dello Spirito? Ci sono ambizioni a cui state puntando? Sappiate che le ambizioni rappresentano un blocco per lo Spirito Santo. Qualche istante fa, nel salmo, abbiamo pregato insieme usando le parole del salmista: “la mia anima ha sete del Dio vivente; quando potrò vedere Dio faccia a faccia?” Quale meraviglioso desiderio è per un figlio di Dio voler essere vicino a Dio! In questo tempo di quaresima siamo invitati da Dio ad avvicinarci a Lui. Oggi quando avete pronunciate quelle parole: “la mia anima ha sete del Dio vivente”, nel profondo di voi stessi come vi siete sentiti? La vostra anima oggi ha davvero sete del Dio vivente? O sono solo delle parole che abbiamo detto e non ci ricordiamo più nemmeno di averle pronunciate?

“La mia anima ha sete, ha sete, del Dio vivente.

Questo nostro Dio non è lontano da noi! Questo nostro Dio non è un Dio che non si prende cura di noi! Ma è un Dio vivente che agisce ed è in mezzo a noi! Questo Dio vivente ci accompagnerà in questi giorni di capitolo. La domanda è dunque: “come farò io ad aprirmi per permettere a Dio di accompagnarmi in questi giorni? Sono venuto qui in questi giorni con un cuore aperto?”

É vero, è stata fatta tutta la preparazione per questo capitolo. Ma lo Spirito continua a muoversi in noi, in ogni momento della nostra vita! Siamo in ascolto di ciò che avviene nel mondo, nei fratelli e nelle sorelle accanto a noi? Siamo in ascolto di ciò che la Parola di Dio ci sta chiamando a vivere in questo tempo di quaresima? Sono aperto all’ascolto dello Spirito Santo? Sono venuto a questo capitolo con la libertà di Spirito? O forse venendo qui ho già nel mio cuore ciò che devo dire e ciò che devo decidere?

Se sono venuto libero di ascoltare, questo Dio vivente, mi guiderà! Gesù, acqua viva, disseterà la nostra sete! La potenza e l’ispirazione dello Spirito Santo sarà con noi! Quello che noi vogliamo è fare nostre le parole del salmo… che ognuno dica a Dio e a se stesso: “La mia anima, la mia anima, ha sete del Dio vivente! Il mio desiderio è stare vicino a Dio, vedere Dio faccia a faccia!

A volte pensiamo di essere quelli più vicino a Dio, invece potremmo essere i più lontani. Gesù lo ha scoperto nella propria vita. Oggi nel Vangelo ci dice: ”un profeta non è disprezzato se non in casa sua”. Lui dunque sta dicendo: “la mia gente non mi accetta!” Quelli che non ci si aspetterebbe sono i più vicini a Dio. Quelli che sono considerati i lontani e gli stranieri, in verità sono loro che stanno sperimentando il Dio vivente! Come Naaman il lebbroso, la vedova di Sarepta. Quando loro hanno aperto il loro cuore a Dio a motivo del loro bisogno, hanno trovato la guarigione, hanno trovato il Dio vivente! Possa oggi questo inizio di capitolo trovarci con il cuore aperto per accogliere il Dio vivente! Per questo preghiamo: “la mia anima ha sete, ha sete, del Dio vivente; quando potrò vedere il suo volto?”