Viviamo questo momento come un’occasione per completare sopratutto l’ascolto che abbiamo fatto in questi giorni, soprattutto alla luce della Parola di Dio. Mi unisco al ringraziamento per ciò che abbiamo ascoltato. Ci vuole sempre più tempo di quello che abbiamo per saper approfondire. Questo vale per l’esercizio della fraternità, che nasce dall’ascolto in chiave sinodale. Ma vale anche per l’ascolto della Parola di Dio, che richiede, appunto, sempre tempo in più, benchè essa possa sembrare la stessa.
Desidero finire questo momento senza smettere di ascoltare.
Ringraziamo di tutto ciò che abbiamo detto e di tutto ciò che abbiamo ascoltato. Ringraziamo per le parole che abbiamo espresso e per l’attenzione alle varie realtà che sono emerse nel Capitolo.
Vorrei consegnarvi, ora, qualche spunto della Parola di Dio che ci è data in questo periodo di Quaresima. Mi è parso di cogliere che la Parola di Dio, di quest’oggi, ci parla della preghiera.
Sia il testo di Osea, sia la parabola di Gesù hanno a che fare con la preghiera e mettono in evidenza come la preghiera sia non solo opera nostra, ma anche accoglienza e partecipazione di Dio.
Sia in Osea che nella parabola notiamo il punto di vista di Dio. Come Dio guarda coloro che, come dice il profeta Osea, dicono: “venite torniamo al Signore, pentiamoci!”. Notiamo questo desiderio di tornare, questa consapevolezza dei nostri peccati. E Dio si chiede: “cosa dovrò fare per te Efraim? Che dovrò fare per te Giuda? Il vostro amore è come una nube del mattino!”. Citazione questa che fa pensare a ciò che sta succedendo in questi giorni, nei quali ci sono molte nuvole, anche pittoresche, ma non c’è acqua. Questo è il dramma che la terra di Israele vive da secoli. Allora queste belle nuvole sembrano promettere chissà che cosa, ma in verità non c’è nulla.
Ecco allora la preghiera del popolo che cerca di intercettare Dio, e Dio che guarda questa preghiera. E ascolta! Dio vuole amore e conoscenza, non sacrificio e olocausti. Questo si collega al testo del Vangelo dove, in fondo abbiamo, due uomini che vanno a pregare. E vanno a pregare nella consapevolezza che la preghiera è importante. Tuttavia, anche qui troviamo, da una parte, colui che ha la presunzione di essere giusto, di essere dalla parte di Dio. E dall’altra chi, invece, forse ha la presunzione di essere completamente lontano. Ecco che dunque ritorna questo movimento dell’uomo che invoca Dio cercando la sua misericordia, cercando delle “strategie” per pregare. Al tempo di Osea, queste strategie, potevano essere chissà quali sacrifici, chissà quali rituali; per il fariseo, invece, era il presentare la sua coerenza e la sua osservanza; per il pubblicano è la consapevolezza che è un disgraziato, una persona chiusa nel suo male e nella sua incapacità di fare il bene. E allora il punto è che tutte queste preghiere sembrano senza un finale; sembrano chiuse in se stesse. Il buono rimane buono e il cattivo rimane cattivo: ma la differenza la fa Dio! La differenza è fatta da come Dio guarda e da come Dio vede. Gesù mette in evidenza che i giustificati non sono quelli che hanno pregato bene o hanno pregato meglio, ma tutto dipende da un diverso sguardo di Dio.
Tutto questo mi suscita un esempio. Mi fa venire in mente che ho vissuto qui per 6 anni (ai santi Giovanni e Paolo). Il primo giorno di questa settimana guardando dalla finestra mi sono accorto, per la prima volta, che si vede il palazzo della cultura italiana, il monumento che c’è all’EUR. Mi ha stupito che da qui si possa vedere, perché da qui, per andar li, ci vogliono almeno venti minuti di automobile. Ebbene questo mi fa capire che la nostra casa qui a Roma gode di uno sguardo elevato su Roma, e mi ha fatto pensare a come questo guardo sia diverso rispetto a uno sguardo dal basso. Questo mi fa pensare a come Dio vede la nostra realtà, la nostra vita. Tornando dunque a Osea e a questo popolo che fa tribolare Dio, credo che il cuore della passione di Dio, non sia solo quello di avere dei bravi sudditi, o dei bravi fedeli, o dei bravi osservanti; ma sia quello di entrare dentro l’uomo, saper convertire, cambiare il cuore. Dio sa entrare in un territorio che non è il suo; sa seminare dove non cresce nulla! E questa è la scommessa del convertire. Non dire semplicemente ci sono i meritevoli e i non meritevoli, ma sempre andare a scommettere che si può cambiare: la conversione, il cambiamento, che poi è la provocazione del tempo di Quaresima.
Questo mi fa anche pensare a Paolo della Croce. Da giovane egli sentì l’impulso a mettersi al servizio di Dio e sappiamo che a un certo punto egli pensò di diventare martire al servizio della Chiesa. Pensava di fare ciò attraverso l’esempio dei crociati, benedetti dal Papa. Era questo un modo per cercare di strappare la Terra Santa a coloro che erano considerati degli infedeli. Si diceva: “noi siamo quelli che portano la reliquia, il segno della grazia di Dio, e gli altri non lo sanno, anzi la contaminano”. Quindi la crociata serviva a riconquistare quella Terra perché fosse valorizzata come doveva esserlo. Questo era il modo di pensare che Paolo della Croce ha respirato al suo tempo, ma che poi ha capito non essere il suo. Questo lo ha portato a capire che chiaramente c’è un problema di contaminazione, di mancanza di capacità di fare il bene, c’è un problema di male. Ma questo non lo si risolve dividendo, o cacciando i cattivi o gli infedeli. Lo si risolve in maniera diversa.
Ed ecco quindi la passione di Gesù intesa come rimedio al male del mondo, a tutto ciò che è disgrazia nella storia dell’umanità, a tutto ciò che genera peccato e porta alla morte! Allora questa passione di Dio, questo sguardo di Dio, questo desiderio di Dio che invoca l’amore come nel profeta Osea, o come Gesù che invoca la preghiera quale atteggiamento dell’uomo dinanzi a Dio, mi porta pensare al desiderio di Paolo della Croce, al desiderio di fare memoria dell’amore di Gesù, dell’amore del Figlio che va a erodere nei cattivi la dimensione del male.
E questo penso sia il motivo per cui siamo qui.
Abbiamo anche dibattuto per questo in questi giorni. Perchè li dove siamo noi, dovremmo lavorare per questo: testimoniare l’amore del Signore, trasmettere un bene che è di Dio, che cerca di trasformare e convertire il male che c’è. Quindi chiedo al Signore che attraverso il nostro carisma, San Paolo della Croce ci riempia di questo suo sguardo, di questa sua passione, di questo suo desiderio che noi, la dove siamo, possiamo continuare ad essere servitori di questa scommessa: cambiare, convertire il cuore dell’uomo, renderlo capace di una relazione d’amore che non è solo essere buoni o offrire a Dio qualcosa, ma diventare strumento, servitori di questa grazia. La colpa del fariseo non è solo quella di disprezzare gli altri, ma è quella di escluderli. Egli dice: “siccome io sono buono e gli altri cattivi, non c’è legame tra me e loro”. Il sintomo che siamo secondo il cuore di Dio è invece il rovescio. Cioè Dio ci insegna a essere si buoni e osservanti, ma anche a testimoniare questo amore per gli altri. Non per diventare esclusivi, per diventare una elite. Il Signore ci aiuti ad avere questo sguardo che è diverso. Questo sguardo che ha gli stessi ingredienti ma in una percezione diversa, aperta ad un mistero più grande. Che san Paolo della Croce ci doni questo! Tornando a casa, vivendo questo clima di fraternità, il Signore ci doni di custodire questo entusiasmo e poterlo trasmettere, con la testimonianza, ai nostri fratelli e sorelle, e a tutti coloro a cui offriamo il nostro servizio e ministero.